ETICA DEL LAVORO: lusso o necessità?
- Coffee Talks
- 12 mar
- Tempo di lettura: 4 min
Oggi ha senso parlare ancora di ETICA DEL LAVORO, o è un lusso che non ci possiamo permettere?
Me lo sono domandata spesso ultimamente, anche grazie agli stimolanti confronti intrattenuti coi miei “alunni” nei corsi di comunicazione e ricerca attiva del lavoro, storie ordinarie di gente comune che si ritrova alle prese con la comunicazione massiva e fuorviante di aziende fornitrici di prodotti e servizi e offerte di lavoro pietose.
E la risposta che mi sono data è che… sinceramente non lo so. E mi costa ammetterlo.
Io credo che, oggi, se ne DEBBA parlare seriamente e molto più di quanto fatto fin’ora, non come trend da cavalcare per la promozione aziendale o personale, ma come base per un vero e significativo cambiamento di rotta, in una società e in un mercato del lavoro sempre più alla deriva, dove il concetto di rispetto (per l’utente/consumatore e per il collaboratore) si è perso già da lungo tempo.
L’Etica del lavoro è sempre stata un concetto centrale nelle società, ma nel tempo il suo significato è mutato: se prima l’Etica era legata a valori come la dedizione, la fatica e la produttività (es.la "work ethic" protestante), oggi si intreccia con il rispetto per i diritti umani, la sostenibilità e il benessere dei lavoratori. E qualcosina ancora…
Con la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale e il lavoro da remoto, le dinamiche lavorative sono cambiate e stanno rivoluzionando vari approcci ed accessi: è essenziale definire standard etici per evitare sfruttamento, discriminazioni e manipolazioni.
Già Stephen Hawking al Web Summit di Lisbona 2017, aveva sollevato la questione Etica e Intelligenza Artificiale, com’era stato fatto anche per la clonazione della pecora dolly tanti anni prima…tutti interrogativi che vedono la società divisa su due fronti contrapposti…e forse la verità (come per la maggior parte dei casi, sta nel mezzo).
Oggi le aziende non possono più ignorare l’aspetto etico, perché la società e i consumatori chiedono trasparenza e responsabilità (soprattutto le GenZ e Alpha) da una parte, dall’altra “peccare di non-eticità” permette di godere di un vantaggio competitivo (e monetario!) niente male, in barba ai concorrenti troppo rispettosi e meno aggressivi.
E, quindi, che fare?
Adottare comportamenti etici può significare dover pagare salari più alti, garantire condizioni di lavoro migliori, rispettare normative ambientali più severe, non ricorrere a evasione fiscale o corruzione… ma ne vale davvero la pena? Tutto questo ha un costo immediato e, soprattutto, importante. Certo ora con l’introduzione del bilancio ESG e finanziamenti vincolati dall’adozione di pratiche sostenibili e inclusività hanno spinto (o, meglio dire, costretto!) molte aziende ad adattarsi, a rispettare certe regole (senza però esserne troppo convinti: vedi svariati comportamenti ipocriti che portano a un sano greenwashing, pinkwashing, black washing, rainbow washing… ). Altre hanno preferito delocalizzare, con ripercussioni gravi sulla società.
Fin qui, si potrebbe, quindi, pensare che solo le persone e le aziende grandi e ricche possano permettersi di essere etiche, rappresentando un costo di cui si può fare a meno.
Nella realtà, infatti, il prezzo vince sull’etica: se un prodotto etico costa di più, molti scelgono quello più economico (es. fast fashion vs. abbigliamento sostenibile); l’abitudine è più forte dell’etica: anche dopo scandali (es. lo sfruttamento dei lavoratori nei campi di Amazon o Apple in Cina), le persone continuano ad acquistare da queste aziende; l’etica diventa un fattore solo in casi estremi: se uno scandalo è davvero grave e mediaticamente esplosivo (es. Volkswagen e il “Diesel-gate”), allora la società reagisce con indignazione e boicottaggi, ma temporanei (quando arriva il dio-soldo tutto si dissolve). E ancora: se un’azienda etica paga meno di una non etica, molti sceglieranno lo stipendio più alto; se trovare lavoro è difficile, si accetteranno condizioni non ideali… e via dicendo.
Nel mondo finanziario e bancario, poi, l’etica è spesso vista come un lusso, l’antitesi della loro esistenza: gli investitori puntano ancora su aziende con alti margini di profitto, anche se usano metodi discutibili o si affidano a banche che usano investire il proprio patrimonio in armi e fondi di dubbia trasparenza, magari perchè lo sportello è vicino a casa o offre condizioni più favorevoli.
E poi ci siamo noi, noi lavoratori e produttori di benessere sociale in qualche modo, che con le nostre azioni e le nostre scelte potremmo fare davvero la differenza!
Quando i nostri valori individuali si scontrano con quelli dell’azienda, siamo chiamati a tirare in ballo, inevitabilmente, l’Etica: mento a un cliente per vendere di più? approfitto della sua debolezza o del momento poco propizio per lui o lei? Denuncio corruzione o episodi di mobbing verso un collega?
La responsabilità etica delle aziende non riguarda solo le imprese, ma anche chi lavora al loro interno.
Noi, come decidiamo di reagire?
E se iniziassimo a cambiare il nostro punto di vista e vedere l’etica non come un COSTO ma un INVESTIMENTO a lungo termine? Una conditio sin equa non, una necessità strategica per sopravvivere nel lungo periodo?
Forse, oggi, l’etica è un fattore competitivo, e non più un’opzione come prima. In un mondo dove la gente è stanca di brutture e tradimenti sociali, dove fidarsi di qualcuno e sentirsi parte di un sistema condiviso di regole e valori sia diventato il santo graal del vivere “normalmente” l’Etica può portare i consumatori a premiare aziende responsabili (es. Patagonia), avere ambienti lavorativi più giusti e clienti, utenti e lavoratori più dediti e fidelizzati. Nel lungo periodo, le aziende più etiche tendono a sopravvivere meglio perché evitano crisi reputazionali e problemi legali.
La scelta di impiegare un design rispettoso e inclusivo, implementare una pubblicità non ingannevole, stipulare accordi chiari e definiti, adottare comportamenti giusti e rispettosi: cosa vogliamo fare?
L’Etica, come molte altre cose, diventa importante solo quando lo decide la società, e, quindi, DECIDIAMO!

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